la gaia educazione

la gaia educazione

lunedì 17 settembre 2012

Enjoy your lesson! (1)


L’unico comandamento è: goditela! Goditela la tua lezione, goditela insieme a loro, naturalmente. La lezione, che non è certo il massimo, in termini di apprendimento, ben inteso, è però un potenziale di febbre feconda, se la lavori bene, come una pasta in rigogliosa lievitazione. Allora, anzitutto tu devi godere. Simultaneamente, devi far godere loro. Il che poi significa, fatti due più due, che, se va bene, ve la siete goduta tutti sebbene non necessariamente allo stesso modo. E’ vero, fare una buona lezione ha qualcosa a che fare con il fare l’amore, però non è esattamente il trionfo della reciprocità. Diciamo che è un massaggio erotico che tu pratichi a loro e che, se va a buon fine, ti ritorna in forma di piacere diffuso… Veniamo ai fatti: intanto tu ti sei preparato. O meglio, hai preparato ogni cosa. L’errore più grossolano e fatale in cui puoi incappare (e troppo spesso ci incappi) è fare quello che loro si aspettano che tu faccia. Ogni tuo gesto prevedibile sarà un declino, più o meno abissale, della loro attenzione (loro, i tuoi pupilli, la carne umana che respira e trasuda nella sala dei desideri). Non tradirli. In qualche modo puoi, ogni volta, spiazzarli un poco, persino con la ripetizione (di un piccolo rituale per esempio). Ricordati che insegnare è una pratica festiva, non feriale. Ogni giorno è un appuntamento, una possibilità di vita, di piacere, non una condanna, una crocifissione sull’altare delle regole, della noia e della disciplina. Tu sei il sacerdote, il gran mogol, approfittane. Quindi, innanzitutto, tu hai apparecchiato ogni cosa, hai pensato, ricercato, studiato, organizzato, sistemato ogni cosa, prima. Cosa si aspettano loro? Che tu entri e con fare svogliato inizi a parlare di mestizie sarcofagiche e che gli propini il solito polpo morto da troppe ore. Evitalo. Invece entra e sviali (detournement, s’il vous plait), vai fuori binario. Sono cose che vanno curate bene fin dalla prima volta. Anzi, la prima volta è essenziale, fatidica direi. La prima volta è davvero “la prima volta”, uno sverginamento, per essere più espliciti. Pensa al corpo giovane e intatto dei tuoi allievi, un corpo intero, la prima volta, ancora intatto, intatto per te, naturalmente, che altri ci hanno già messo le loro mani addosso, purtroppo, lasciandolo piagato e svuotato (e allora a te toccherà la respirazione bocca a bocca). Un corpo che può respirare, mugolare, squittire, brontolare come un grande mammifero, morbido e odoroso (anche di odori forti e piccanti, si sa, sono giovani). Occorre lavorarlo con cura. Entra e non andare subito a sederti alla cattedra, se c’è qualcosa di simile ( e c’è, e c’è …). Fai gesti precisi, riconoscibili. Per esempio puoi modificare la luce, abbassala, cerca di creare dell’ombra, per avere più intimità, induci la “tua” atmosfera, in sintonìa con quello che stai per proporre. Oppure fai partire una musica, o anche le due cose in successione. O anche inizia a leggere un brano suggestivo, che sappia attrarre l’attenzione, senza preamboli, vai subito a toccare il nervo sensibile. Mostra delle immagini, un filmato, senza introduzione, senza attutire il colpo, quale che sia: una piccola recitazione, se lo sai fare, o uno spostamento del tuo posto, trascinando la tua sedia altrove, o un tappeto, perché no? Crea una se-duzione, chiamali a te, con un gesto che li spiazzi. Ci sono migliaia di possibili invenzioni, occorre solo che ti sforzi di immaginare un ingresso, un accesso allo spazio specifico su cui poi innesterai la tua lezione, la tua lezione “speciale”. Naturalmente ogni cosa che fai deve essere calibrata sulla “loro” sensibilità, la devi immaginare, devi spostarti dentro le loro crisalidi, dentro le loro anime. Non puoi leggergli una poesia “impegnata” di Giancarlo Majorino solo perché a te piace tanto, non puoi fargli ascoltare i campanelli dei monaci tibetani perché a te danno i brividi. Puoi arrivarci, ma sempre per gradi. Se poi va bene, otterrai un momento di altissima intensità. Avrai tutta la loro attenzione. Un’attenzione dalle molteplici sfumature, curiosità, diffidenza, speranza, resistenza ma comunque attenzione. Attenzione allo stato purissimo. E questo è incomparabile. E ti fa sentire come un dio. Un dio minore ma prossimo a prendere il volo.
La tua benzina è l’attenzione. Non farti scrupoli, lasciati blandire dalle malìe della seduzione. Lungi dal farti condizionare dall’ascetismo predicato dai barbogi pedagogici, punta sulla seduzione, rendi affascinanti i tuoi argomenti, i tuoi documenti, te stesso. Vai all’appuntamento con l’attenzione profumata dei tuoi allievi agghindato come una baiadera, non perdere l’unico motivo davvero vitale di una “lezione”. Salvala prima che si tramuti in irrimediabile petofanìa, in sodomia pneumatica. Devi inventare percorsi inediti, arrivare alle scienze passando per la letteratura, che so una lezione di botanica attraverso le poesie sui fiori di Rilke o certi quadri della O’Keeffe. Arrivare alla matematica attraverso la musica, indovinando le formule di certi passaggi sonori di Bach o di Frank Zappa ma insistendo sull’ascolto perché i numeri diventino materia godibile, oppure esordendo dal film della biografia di un celebre matematico (come in A beautiful mind di Howard o quello su Galois) o da uno che ponga problemi matematici (perché non Il cubo di Sekula?), o anche leggendo brani tratti dai diari di un impervio ricercatore, fiammeggianti, quelli fiammeggianti, non quelli sideranti. Osa i passaggi bizzarri e imprevedibili: fai preparare e recitare, attraverso ricerche e testi minori, il Risorgimento italiano, la Comune di Parigi, l’assassinio di Marat nella versione di Peter Weiss. Coltiva testi stuzzicanti per sporcare i fasti di un’epica consunta, accecali con immagini dell’arte contemporanea carica di materia e di umori o con la violenza carnale di Rubens, trapunta le tue lezioni con la musica e le registrazioni di celebri momenti scenici. Interrompi i passaggi barbosi delle tue spiegazioni (quelle esclusivamente necessarie) con un’improvvisa sequenza, appropriata, tratta da una commedia televisiva ironica e iconoclasta, da un varietà, da un film comico. Non temere di usare le immagini, i video, le clip. Oggi c’è a tua disposizione non certo l’archivio dei documentari pensati per la scuola, non certo il tremendo didattismo suicida dell’ “educational” ma l’intero giacimento ricco di pepite dell’immaginario accumulato nei secoli (specie negli ultimi decenni, nei quali è esploso). E’ con esso che puoi, seguendo un percorso non mortificato dalle introduzioni storico-critiche, dai tuoi balbettamenti prolegomenici, irrompere con la polpa vitale della cultura persino dentro l’oscena cupezza di un’aula scolastica! Ricorda: a scuola non si studia e si insegna per un dopo di cui ancora nessuno può misurare la benché minima consistenza. A scuola si vive ora e qui un’esperienza indimenticabile, le cui trame sono fondamentalmente nelle tua mani. Ogni tua lezione è un’occasione strepitosa per vivere subito nell’immenso teatro del sapere, tuffandotici anima e corpo insieme ai tuoi allievi, partner di un esercizio erotico incomparabile, quello di scoprire, esplorare, penetrare e farsi penetrare dalla cultura.

1 commento:

  1. "I nostri studenti che 'vanno male' (studenti ritenuti senza avvenire) non vengono mai soli a scuola. In classe entrano a cipolla: svariati strati di magone, paura, preoccupazione, rancore, rabbia, desideri insoddisfatti, rinunce furibonde accumulati su un substrato di passato disonorevole, di presente minaccioso, di futuro precluso. Guardateli, ecco che arrivano, il corpo in divenire e la famiglia nello zaino. La lezione può cominciare solo dopo che hanno posato il fardello e pelato la cipolla...
    Se non riusciamo a collocare i nostri studenti nell'indicativo presente della nostra lezione, se il nostro sapere e il piacere di servirsene non attecchiscono su quei ragazzini e quelle ragazzine, nel senso botanico del termine, la loro esistenza vacillerà sopra vuoti infiniti. Certo, non saremo gli unici a scavare quei cunicoli o a non riuscire a colmarli, ma quelle donne e quegli uomini avranno comunque passato uno o più anni della loro giovinezza seduti di fronte a noi. E non è poco un anno di scuola andato in malora: è l'eternità in un barattolo...
    Bisognerebbe inventare un tempo specifico per l'apprendimento. Il 'presente d'incarnazione', per esempio. Sono qui, in questa classe, e finalmente capisco! Ci siamo! Il mio cervello si propaga nel mio corpo: 'si incarna'".
    D. Pennac

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