la gaia educazione

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sabato 24 febbraio 2018

Torna l'educastrazione



Tira aria di repressione sessuale tra le mura delle istituzioni educative negli ultimi tempi. Vento di nuovi ascetismi, visto che le politiche di intimazione alla professionalità, alla produttività e alla competitività non bastano da sole a prosciugare la qualità umana da quei luoghi già abbastanza ingenerosi verso la vita che sono gli obitori scolastici. Ultimamente si parla di sanzionare i professori che a scuola si permettono di intrattenere via social network relazioni con i propri allievi (sia didattiche che personali). Ovunque nascono commissioni che, approfittando del clima generale, sono pronte a squalificare chiunque si permetta di far circolare un po’ di calore umano nei setting della formazione, da candeggiare al più presto possibile da ogni traccia di eros e di contatto umano. Sul corriere della sera ho anche letto che in Inghilterra il preside di una scuola privata nel Denbingshire ha vietato l’innamoramento reciproco tra studenti, con la scusa che esso deprimerebbe l’impegno scolastico.

L’eros ha da sempre fatto molta paura agli istitutori, ai rettificatori, ai direttori e ai chiarissimi rettori. Tutta gente con la spina dorsale dritta e le pudenda ben protette dalle famose mutande di ghisa. Che l’amore circoli nei luoghi dell’educazione è cosa nota da quando gli uomini hanno cominciato a murare i loro cuccioli dentro alle varie sedi di tortura pensate per loro (dai collegi, ai convitti alle sacre scuole regie ma anche repubblicane). Lì dentro, nonostante la fornicazione avvenisse dietro ogni angolo appena protetto, il desiderio, sia erotico che non, ha sempre subito severe misure di prevenzione e di repressione.

Gli anni 60 e 70, con i loro slogan colorati, erano riusciti a far respirare un poco le aule plumbee con una specie di ritorno del rimosso, sotto forma di apertura al mondo esterno, al dialogo, alla simmetria nel rapporto educativo e, persino, un poco di riabilitazione degli affetti e del povero eros.

Oggi però i probi viri e le probe virago anche più rauche di quelli, son tornati a invocare la ghigliottina per chi commercia anche con il cuore e la pancia, oltre che con l’algido cervello, nei luoghi dell’educazione, da sottrarre nuovamente ad ogni lusinga del desiderio o semplicemente della simpatia e della “convivialità” (povero Illich che ci credeva tanto), per ristabilire la dura lex dell’astinenza, della castrazione (educastrazione secondo Celma) e della sublimazione più o meno condita da qualche breviario sub specie psichanalitica.

I nuovi catechismi ci vogliono e soprattutto vogliono ben presto i nostri pargoli (già “culculi” come li definiva Gombrowicz nel Ferdydurke come perfetti allievi innocenti e puri di cuore), pronti ad ogni domesticazione, ad ogni estirpazione della loro qualità umana affinché unica a rifulgere sia la loro statura professionale, o per dirla in modo più chiaro, la loro misura di vendibilità, occupabilità ovvero rottamazione secondo gli indicatori dell’intelligenza emotiva e della capacità produttiva.

Per chi come me si batte per un’autentica erotica dell’educazione (cioè in cui passione, eros e piacere non siano solo merce sottobanco e di contrabbando ma elementi vitali indispensabili), son tempi di dolore e di esilio ma attenzione, presto vedremo non più i nostri giovani solo afflitti dalle passioni tristi quanto totalmente eviscerati dai desideri (almeno quelli liberi), neppure più quelli che oggi ci sembrano tanto spenti e avvilenti.

Ovvio che l’unica strada è scappare via (dalla scuola media, come diceva Todd Szolond nel suo notevole film ma non solo da quella evidentemente), via da queste anticamere della morte emozionale, immaginativa, creativa e pulsionale. Via dai nuovi e vecchi moralismi, totalitarismi di genere, a caccia della poesia e dell “eresia erotica” di cui parlava Radovan Ivsic.

Restituiamo dignità al corpo, alla sensibilità e ai desideri fondando scuole nomadi, rampicanti, arboree, sessuate, “diffuse”, comunque lontano dai nuovi protocolli ingessanti, dai galatei monacali, dalla distruzione di quel poco di umano sopravvissuto all’industrializzazione del nostro immaginario e delle nostre passioni.

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