la gaia educazione

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venerdì 13 luglio 2012

La marcia zoppa del caravanserraglio tecnologico


Mentre le grandi menti che rimestano il calderone impazzito del naufragio scolastico insistono serafiche a escogitare nuovi strumenti e strategie di valutazione, a predisporre inedite sigle e bastardismi anglofili per denominare le competenze del nuovo rivoluzionario sistema della didattica, a misurare e a catalogare come al solito, lenta e azzoppata avanza la carovana della tecnologia. Salutata con grande trasporto dalle parenetiche ministeriali e dalla retorica giornalistica da Sole 24 ore, la tecnologia, quella elettronica per intenderci, è attesa come la grande panacea del buco nero che è ormai la scuola. L’ingresso in anni lontani di qualche lavagna luminosa, poi di qualche videoproiettore, poi di qualche computer, senza mai produrre significativi cambiamenti, si moltiplica oggi con l’avanzata ancor non si sa se finanziata e finanziabile di tutto un armamentario (dalle Lim ai tablet ecc. ecc.) dalle destinazioni e dagli usi perlomeno degni di qualche sospetto. Fortunatamente non c’è esattamente un consenso unanime su tale fenomeno dalla chiara marcatura culturale e ideologica: gli unici a tifare in modo incontrollato sono naturalmente i detentori del business e la tecnocrazia. Vengono sollevati dubbi del tutto legittimi da più parti e francamente l’ottimistico auspicio che i nuovi congegni possano determinare significativi mutamenti appare piuttosto risibile. Ma al di là dell’oggettiva debolezza di un’ introduzione di apparecchiature e strategie comunicative delle quali si sa bene che saranno lente, parziali e fortemente pleonastiche, occorre sottolineare quanto, specie nei retori del macchinismo insegnante, sia del tutto, e per l’ennesima volta, sconfessata ogni possibilità di aggredire i punti d’inceppamento dell’esperienza scolastica: la voglia, il senso, il sapere. Ancora una volta anzitutto sono i corpi ad essere sconfitti ( e forse in maniera decisiva e finale), il che già di per sé costituisce uno scandalo insopportabile. La scuola continuerà a restare un fatto puramente mentale, anzi aumenterà ulteriormente il grado già altissimo di penalizzazione corporea, emozionale e relazionale. Ma questo non ci stupisce: maggiormente angustia il fatto che la tecnologia penetri nella scuola non per essere interrogata, alterata, rifatta, ma tale quale, sinistra protrusione di un sistema di condizionamento parossistico che già grava su tutti nel fuori del cosiddetto libero mercato. La tecnologia avanzata, digitale, non è un servomeccanismo innocuo, è il volto della civiltà contemporanea, il suo reale e il suo immaginario. La scuola, prima ancora di fruirne, di volta in volta criticamente, potrebbe essere il luogo più adatto per smontare, revisionare, decostruire i meccanismi della tecnologia. Comprendere i risvolti cognitivi della programmazione informatica, il potere delle immagini e delle scritture prestabiliti, il senso delle sequenze programmate. Ma molto di più, introdurre strumenti tecnologici che consentano di fare cinema, di costruire audiovisivi, di passare alla moviola i processi di comunicazione, di investigare la luce, il rumore, la musica. Gli strumenti tecnici devono poter essere usati in modo originale, come strumenti creativi, devono poter essere riprogettati e riprogettanti, non semplicemente subiti come un nuovo grimaldello per abolire sensi e pensieri. La tecnologia non deve servire per ottimizzare la vecchia didattica, tanto per cambiare in fin dei conti considerata buona e giusta. Deve pervertirla e costituire semmai, dove possibile, un elemento di scasso e di rivisitazione critica dei processi di incorporazione di quei frammenti mortificati di sapere che i manager scolastici e ministeriali continuano a chiamare “programmi”.

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