la gaia educazione

la gaia educazione

lunedì 13 maggio 2013

La verifica dell'istruzione...



Ogni giorno, più o meno, tocca sorbirsi qualche nuovo economista o sociologo al soldo di qualche istituto di ricerca venduto, o giornalista o tecnocrate o funzionario INVALSI delle belle esegesi quantitative, che ci sciorina dati numerici sul fallimento dell’istruzione scolare, con o senza tabelle, sempre con percentuali, diagrammi, comparazioni, insomma tutto il baraccone della arcinota oggettività “scientifica”. Che barba!
Stuoli di verificatori che partono all’attacco delle classi con i loro test, i loro parametri, le loro scale, i loro istogrammi. Aiuto!

Ma che cosa vogliono “verificare” esattamente? L’incorporamento di informazioni, o di competenze, si dice. Ma a che livello, a che stadio di trattenimento, dimenticanza? E poi sono davvero in grado di assicurare che ciò che un giorno sembra acquisito, dopo qualche mese non sia scomparso senza lasciare traccia? E come possono misurare ad esempio la capacità creativa, o quella che l’ultimo umanista Yves Citton chiama “interpretazione inventiva”, cioè la capacità non solo di rispondere a domanda ma di problematizzarla, rifletterla, rimuginarla, rivederla, sondarla, trasformarla, insomma quel lavoro che una qualsiasi intelligenza media non sabotata dall’idiozia quantitativa fa quando qualcosa la interessa?

Ma forse questo è fin troppo raffinato, è davvero un eccesso di presunzione di fronte ai geometri del nulla addizionato al nulla uguale al nulla.
Ciò che a mio giudizio dovrebbe valere, per valutare la qualità dell’istruzione, è proprio tutt’altro, non c’entra nulla con schede, parametri, verifiche e confronti. Non è nell’oggetto, non è oggettivabile. Perché non è lì quello che conta.
Non si tratta di capire se qualcuno ha immagazzinato date di storia e teoremi di matematica, che probabilmente potranno consolidarsi solo a patto che poi vengano riutilizzati in qualche frangente vitale e che invece cadranno nell’oblio se verranno abbandonati.

Si tratta, volendo comprendere la benedetta qualità dell’istruzione, di cogliere ciò che accade nelle aule scolastiche, la temperatura dei processi, l’intensità delle attenzioni, il volume degli appassionamenti, unici indici che possano effettivamente rendere conto di ciò che sta accadendo. Se è in atto una decostruzione/ricostruzione di idee, concetti, immagini, gesti , forze che determinano poi comportamenti, azioni, effetti.
E questo non si può misurare con prove, con test, questo è palpabile non appena si varca la soglia di una classe, di un’aula, di un laboratorio. Lo si percepisce guardando, ascoltando, palpando l’atmosfera. Se c’è intensità, vapori che si innalzano nell’aere, occhi aperti, interesse, mani che cercano, curiosità, attivazione oppure se c’è torpore, distrazione, attesa disperata. Se la qualità del silenzio è ricca o povera, attiva o passiva, se quella del rumore è striata di suoni complessi che ritmano in risonanza o se si avvertono solo lacerazioni, attriti confusi, colpi nel vuoto.

L’unica verifica che possa misurare la qualità dell’attività scolastica è la pura, mera, concentrata attenzione. Sollevando un momento lo sguardo da ciò che sta facendo, un insegnante, si accorge se, in quel momento, c’è intensità, passione, volontà oppure il vuoto pneumatico. Se, quando suona la campanella, scappano indiavolati in cerca di aria oppure si sentono interrotti in qualcosa che vale la pena di essere compiuto.
Dove ci sono gli ingredienti della vita qualcosa sta accadendo, e nella singolarità della carne di ognuno, della sua storia, della sua attitudine speciale darà luogo a conseguenze. Quelle importanti, forse ancora impercettibili, quelle che si stanno incidendo nel profondo, di certo non sono ora misurabili. Quelle che possono essere misurate, nella loro fredda oggettività, sono le più caduche e insignificanti.

Si bandisca una volta per tutte questo baraccone delle prove e si provi invece a edificare un’esperienza del sapere che cerchi nell’intrinseco interesse delle sue proposte e nell’accaloramento appassionato che ne deriva l’unico criterio che la giustifica!

Nessun commento:

Posta un commento