la gaia educazione

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mercoledì 6 agosto 2014

Immaginare una "formazione" sessuale



L'idea di una "formazione" sessuale può risultare problematica nel contesto del dibattito contemporaneo sull'educazione. E, per certi versi, non del tutto a torto. Non tanto per ragioni di ordine morale quanto perché non accenna a spegnersi l’eterna querelle sul carattere intimo e segreto del piacere sessuale e delle sue forme, secondo diversi rami di quella che mi piace definire una sorta di “mistica sessuale”, contro un atteggiamento, che potrebbe essere imputato di illuminismo, che invece vuole mettere a nudo e laicizzare questa esperienza.

Personalmente cercherai di evitare entrambi gli scogli, provando a intercettare tuttavia gli elementi positivi che ne derivano.

Da un lato riconosco un certo grado di verità all’assunto che la sessualità debba godere di un po’ di penombra, che non debba essere illuminata a giorno dai fari di una sua assai problematica razionalizzazione, che la farebbe cadere nelle inquietanti pratiche dell’educazione sessuale sub forma di istruzione medico-psichiatrica o meramente tecnica. Indubbiamente la sessualità appartiene ad una regione profonda della nostra vita, è intessuta di implicazioni fortemente irrazionali e deve essere coltivata come una pianta selvatica e preziosa.

Dall’altra tuttavia credo che un eccesso di esoterismo erotico finisca con il separare una sessualità per iniziati da una popolare e ignorante, destinata ad essere plasmata dalle forme più degradate di polluzione mediatica, con una perdita di esperienza grave per la maggioranza delle persone.

La sessualità è uno dei veicoli più a portata di mano, pur nella sua complessità, per ognuno di noi, per ottenere piacere, soddisfazione, benessere. Come tale è un terreno d’esperienza fondamentale e imprescindibile cui ritengo sia necessario prestare un’attenzione non secondaria e non casuale. Da questo punto di vista, invocare una formazione sessuale a me pare la soluzione adeguata.

Con il termine formazione qui voglio sollecitare un tipo di intervento che appunto non riduca e non scinda le molte dimensioni della vita sessuale. Occuparsi solo dell’atto, delle pratiche igienico-sanitarie o della contraccezione mi pare un atteggiamento che avvilisce la sessualità, facendone oltretutto emergere soprattutto il volto minaccioso. I bambini e gli adolescenti debbono certo essere informati dei rischi legati alle relazioni sessuali. E tuttavia mi pare che sia necessario che queste informazioni siano un corredo rispetto invece all’importanza che una formazione di questo genere dovrebbe assegnare alla conoscenza del piacere sessuale, del modo in cui è stato nel tempo fatto oggetto di sacralizzazione, di venerazione, di iniziazione, di avventura in determinate culture oppure di divieto, marginalizzazione e maledizione in altre. Mi pare importante che bambine e bambini e ragazze e ragazzi possano lentamente scoprire la grande ricchezza dei miti e delle religioni nel loro rapporto con la sessualità, dell’immaginario sessuale depositato nelle letterature, nelle storie, nell’arte, nella musica, nel teatro, nel cinema e così via. Che possano conoscere la ricca trattatistica, sia laica che esoterica, legata alla vita sessuale, al suo potere trasformativo, non solo generativo in senso biologico, addirittura magico e visionario.

Che possano infine entrare in contatto con una visione della sessualità come grande arte dell’amore sensibile, in cui tutti i sensi debbono essere coinvolti, allenati e potenziati, dove la cura del corpo, della sua cosmesi, dei luoghi e degli ambienti, delle diverse fasi dell’atto come del suo immenso potenziale di esplorazione, scoperta e invenzione debbono venire fatti oggetto di una vera e propria pratica conoscitiva.

La sessualità non è più un fatto biologico nell’uomo, è un’esperienza culturale, di una ricchissima cultura che si è depositata in innumerevoli opere, documenti, testimonianze, forme dell’arte e dell’immaginario. E’ una parte meravigliosa della vita che non può essere abbandonata esclusivamente all’improvvisazione ma che, anche per debellare le molte paure ad essa in parte connaturate e in parte inoculate da secoli di morale censoria e patriarcale, deve essere approfondita, coltivata, curata.

E infine ritengo anche condivisa. Le attività di mutua narrazione su questo tema, l’aiuto reciproco e il confronto, possono essere un interessantissimo terreno di esperienza formativa, certo a patto che finalmente si debellino i moltissimi tabù ancora diffusi, che ci si emancipi da visioni assai limitanti di questa esperienza straordinaria, siano esse figlie di quel misticismo che vuole la sessualità confinata nel chiuso della relazione di coppia, siano esse il tributo coatto alle richieste performative di questa nostra società del fare e del produrre sempre di più.

La sessualità è una fonte di straordinario piacere, al di là dei molti pregiudizi che, oltre alla religione e alle morali dogmatiche, anche le moderne scienze psicologiche vi hanno introdotto, ma non è ovvia. La nostra visione è ancora molto arretrata, viziata e paurosa. Occorre un grande avanzamento (per esempio per scoprire, con Riane Eisler e altri, che alle nostre origini, nelle società e religioni prepatriarcali, il piacere sessuale era onorato, rispettato e oggetto di specifiche pratiche iniziatiche), uno sforzo che ritengo debba anche tradursi in una potente formazione, a partire dall’infanzia, con gradualità e secondo i linguaggi adatti ma con decisione, urgenza e passione.

La sessualità, non dimentichiamolo, è dono e dissipazione, contro ogni ideologia dell’accumulazione e del profitto. Questa sua dimensione radicalmente controcorrente può essere però sempre tradita proprio dall’infiltrazione di un imperativo di tipo prestazionale. Per evitare questa deriva c’è una sola strada, la cultura della sessualità.

giovedì 22 maggio 2014

Sad Eros



Oggi per il povero Eros tira una brutta aria, aria di miseranda restaurazione. Da Badiou a Han ritornano al galoppo tutti i vecchi rosari. Prima il grande ultimo filosofo comunista che si affida anche lui ai sempreverdi Platone, Agostino, Goethe per perorare la causa intramontabile di un amore vero, uomo-donna, fedele all’Altro, assoluto, capace di resistere alle lusinghe dei flussi contemporanei, delle macchine desideranti o delle chat erotiche. Il pensatore coreano, tanto brillante e incisivo nella Società della stanchezza, oggi ci rifila anch’egli l'assolutamente altro, tra Hegel e Levinas. Sui nostri rotocalchi si addomestica Lacan per farne una versione per le scuole (private e cattoliche).

Seppelliti da tempo i Marcuse, i Reich, i Lowen, sempre occultato il povero Fourier (che tuttavia andrebbe riletto con più gusto e un pizzico di humour), sembra che coppia e amore eterno debbano essere nuovamente gloriati e santificati.

Quanto poco ascolto per chi di eros e sesso davvero ha trattato con finezza e consapevolezza profonda. Riane Eisler per esempio, il cui “Il piacere è sacro”, un libro formidabile che fa l’archeologia della demonizzazione del sesso, andrebbe a mio giudizio reso obbligatorio a scuola, tanto per ricordare da dove veniamo e dove rischiamo ancora di andare (noi figli di un immaginario patriarcale assai solido anche nella grecità). E perché no, persino il supermaschilista Julius Evola, capace però nella Metafisica del sesso e anche in altri scritti di disegnare con magistrale scrittura la grande e fondata sacralità dell’eros, il suo potere trasformativo e visionario.

Noi perdiamo di vista che con Eros andrebbe sempre ripensato Dioniso e dietro lui la coppia Shiva-Shakti, autentica radice di ogni sessualità radicata nell’esperienza della terrestrità, della natura e di una cultura non solo intrisa di scissioni e minorazioni (e si rammenti così anche Danielou).

Ma no, noi siamo appesi alle nostre stampe vittoriane, alle fiabe romantiche, alla indissolubile coppia amore-morte, pronti ad asserragliarci intorno al vecchio codice ristretto condito più o meno variamente di teologie e sacralizzazioni improprie, l’assoluto, la verità, il dolore.

Come fare per insinuare in questo accampamento di irriducibili monaci trappisti, (con tutto il rispetto dovuto a quelli autentici), il sospetto che la sessualità è il centro della nostra esperienza nel mondo, di una vita possibilmente vissuta all’insegna del piacere, della condivisione, medicine insostituibili per placare l’orrore della competizione?

Quanto tempo occorrerà perché finalmente una cultura della sessualità degna di questo nome, e non solo una manfrina di retoriche psicologiste e istruzioni medico-sanitarie intrise di moralina, entri nelle nostre scuole, nella società, nel cinema (anche) per non abbandonare i ragazzi e le ragazze all’incontro con l’esperienza più straordinaria della loro vita in balìa di preconcetti, timori e un immaginario mediale violento e ripetitivo.

E’ inutile, sono anni che provo a scuotere i miei studenti nei banchi dell’università su questa “irruzione del meraviglioso”. E’ tardi. Il danno è già stato fatto. Li vedo intimoriti, inibiti, incapaci di articolare una qualunque alternativa ai copioni più logori e normalizzati. La sessualità resta un incredibile tabù, e non c’è rave che possa esorcizzare la penuria di sapere, fantasia, immaginazione.

Alla faccia dello scatenamento del godimento, quello che sperimentiamo, dentro e fuori di noi, è solo e ancora un corpo ignorante dove sensibilità e consapevolezza appaiono povere, mute. I corpi di noi tutti sono ancora goffi e passivi come lo sono quelli che si presentano davanti al tribunale della medicina o della psichiatria, corpi divisi, la cui esperienza di vita è castrata.

L’eros delle infinite sfumature, quello dei trattati antichi ed esotici, di una sacralità vitale e non sacrificale, diffuso nelle eresie, nelle letterature periferiche, nelle utopie, nell’espressività simbolica negletta dei grandi visionari di ogni tempo e luogo, quell’eros non penetra la nostra cittadella murata dalla sua anestesia.

Viene nostalgìa di un Eros bambino, alato e vagabondo e della sempre elusa potenza di Afrodite, che ci richiamerebbe a un grande elogio del piacere che mai abbiamo conseguito, tra teologie une e trine e simulacrali godimenti acefali.

Per sfregio, di fronte a tanta santificazione dell’amore con la A maiuscola (la cui esclusività, non lo si dimentichi, è anche causa di inenarrabili sofferenze), perorei con forza la causa della masturbazione, atto pacifico e individuale, di pura dissipazione, antiproduttivista e, come diceva Woody Allen (il cui narcisismo non si può negare abbia avuto grande potere creativo), atto erotico che si consuma con qualcuno che, volenti o nolenti, si stima.

E però anche, con il vecchio Fourier, voglio immaginare una combinatoria più ampia, complessa, una rotazione, una gerarchia mobile e virtuosa, dove la manìe si combinino con le manìe, non per premiare un piacere esonerato dall’intensità persino delle sofferenze, per quanto magari attutite da una sacrosanta affermatività, ma solo per onorare la vita, la breve vita che ci è capitata e che ci scorre via mentre ci accapigliamo per togliere al nostro tempo ogni autentica possibilità di essere “goduto”.

venerdì 13 settembre 2013

Ancora su questa maledetta faccenda del desiderio a scuola



Non fosse che mi hanno intervistato (bontà loro) su questo argomento, di recente, avrei continuato a riposare per un po’ lontano dall’ignavia e dalla superficialità che regna su questa materia tanto imbarazzante. Ma le molto più imbarazzanti banalità che si allineano continuamente sull’argomento, mi provocano a scrivere ancora qualcosa, di breve, per ora, non foss’altro per meditare per conto mio sul problema.

L’inquietudine che circola sul caso di Saluzzo (insegnante che aveva rapporti sessuali, con sue allieve, di cui è ancora da dimostrare l’abuso, ma si vedrà), dimostra che questo è un tema sotto tiro perenne e attentissima sorveglianza, un tema “sensibile”, di cui si capisce poco, tranne forse l’evidenza della sua incoercibilità.

Si continua a ritenere, probabilmente con una certa ipocrisìa, che il desiderio sia un fattore del tutto componibile con le esigenze dell’ordine e della gerarchia. Ma questo è di per sé, con tutta evidenza, profondamente falso. Il desiderio non funziona così, se tale è. Certo, per molti, a un certo punto -saranno i cosiddetti “adulti” di cui parlano con eguale saccente miopìa scientifica i cosiddetti “giornalisti” (gente al soldo della norma, ovviamente) o gli psicoanalisti (pure loro stipendiati dalla norma)-, non è un problema tenere a freno il famoso destriero del Fedro. Usarlo addirittura. Certo.

Ma forse occorrerebbe finirla con questa pantomima. Nel corso di tutta la storia l’esercizio educativo si è accompagnato con il desiderio e anche la sessualità. Non voglio neppure ricapitolare per sommi capi una storia lunga millenni, fin troppo nota, dai rapporti di precettorato antichi, dalle ginnastiche doriche alla formazione ionica, alla copulazione sistematica nei collegi e nelle comunità anche religiose, ben vive e vegete anche ai nostri giorni, fino alla sessualità scatenata di tante scuole e scuolette contemporanee. Il rapporto educativo, se tale, è intriso d’eros, (desiderio e sessualità) appunto, sotto mille forme. Poi lo si può prosciugare e decontaminare, come ha tentato di fare la scuola laica, prosciugando però al tempo stesso ogni traccia di desiderio anche dal rapporto con il sapere (che è inevitabilmente segnato dalla traccia del vissuto di chi ce lo fa conoscere), e allora si ha un sapere distillato (nel senso dell’acqua distillata), insapore, incontaminato e inodore, del tutto privo di vita (come quello che propugnano gli ultimi e più micidiali epigoni della combriccola: i promotori dell’ e-learning).

Si dice, neanche in maniera troppo velata: la colpa è nella seduzione (Veladiano, Repubblica). Occorre contenere la seduzione. E’ un’affermazione che ha dell’incredibile. Non foss’altro che viviamo nell’epoca della seduzione scatenata, quella perniciosissima e priva di corpo della mediocrazia (dei media e del mediocre), che ad ogni angolo ammicca e ci lusinga con le sue profferte sempre stracariche di allusioni sessuali (nei confronti delle quali, beninteso, non c’è nulla da scandalizzarsi: è da sempre che le cose funzionano così: non è sempre stata comunque la bellezza a richiamare la fede/fiducia delle persone?).
Non foss’altro poi che tutti noi insegnanti dobbiamo sempre più lusingare il pupo pena la squalifica da tutte le classifiche di accettabilità delle nostre proposte educative, ben valutate da plotoni di studenti e studentesse vogliosi finalmente di rendere la pariglia a chi da sempre e senza alcuna temperanza ha valutato loro…

Ma la cosa è poi ancora più assurda proprio in tanto e in quanto non è concepibile alcun appello al sapere che non passi attraverso la seduzione. Seduzione, condurre verso, verso di sé, certo, beninteso, anche. Chi affascina, intorno al sapere, non può, in virtù di non si capisce bene quale torsione psicofisica, assentarsi dalla relazione che instaura comunicando la passione verso l’oggetto. Le due cose fanno tutt’uno. Amo la materia e chi me la fa conoscere, perché la amo proprio in virtù del fatto che qualcuno mi ha, con il fascino che emana anzitutto da lui, soggiogato. E’ inscindibile. Dopo di che, certo, non è detto che l’eros debba essere agito.
Nella storia esistono però infiniti rapporti, nati all’insegna dell’ammaestramento, che si sono tramutati in amore anche reale, che non sempre sono apparsi distruttivi, corruttivi o abusanti (almeno da Eracle e Iolao). E del resto chi è in grado di stabilire con certezza quando si tratta di abuso?

I ragazzi sono spesso costretti o indotti persuasivamente ad accusare i loro sventrapapere o i loro iniziatori, se si preferisce un linguaggio più allusivo. Ma chi conosce il teatro profondo dell’educazione sa che le cose raramente sono così chiare e che chi seduce è spesso il sedotto e che questa embricazione è anch’essa, nella maggioranza dei casi, ineliminabile. E non mi si parli di minori e maggiori. I minori, minori certo entro certi limiti ovviamente (non parliamo propriamente di infanti: il loro eros elfico e selvatico presenta ben altra texture e necessita di ben altra elaborazione), maneggiano l’arte poliedrica della seduzione spesso meglio di chi da tempo si è assuefatto al grigiore delle routine e delle sublimazioni (tanto amate dai nostri sordidi asceti: di ciascuno di essi vorrei conoscere il curriculum personale e scoprire dove e quando ha smesso, se ha smesso davvero, di desiderare la seduzione e di essere sedotto o seduttore).

Insomma: occorre dirsi la verità, e poi, a partire dalla verità, e cioè dalla necessità organica del desiderio nell’esperienza vitale e integra dell’educazione, come delle molte altre esperienze autentiche dell’esistenza, cercare di capire cosa può essere ammesso e cosa meno, e soprattutto come. Occorre fare i conti con i corpi, con i desideri, con la bellezza, con il sapere come sapore, profumo, materia seducente e non scarnificata architettura di crisalidi vuote come certi libri e certi presunti sapienti. Occorre saper leggere l’eros nelle sue infinite sfumature, nei modi infiniti con cui può essere diffuso e integrato nell’esperienza educativa anche senza tramutarsi in diretta esperienza sessuale. Ma anche come la sessualità può concorrere a umidificare e animare la scena educativa, nelle molte forme che essa può assumere. I grandi itinerari spirituali conoscono bene l’implicazione sessuale di ogni autentica via di conoscenza. Perché non la debbono conoscere i nostri impresentabili programmatori scolastici?
Quando finalmente il sapere sessuato, e la sessualità stessa, diverranno argomento di condivisione -non dominato dalle preoccupazioni igienico-sanitarie vili e fraudolente di medici e psichiatri assoldati dalla moralina diffusa-, ma proprio di sapere, nel senso pieno del termine, ricco di storia, di immagine, di pratiche, di esercizio?

Probabilmente quando si leveranno dai cabasisi tutti questi moralizzatori da quattro soldi, stipendiati per dire ovvietà del tutto vacue quanto inutili. Quando a fare, insieme, l’esperienza del sapere saranno uomini e donne viventi, sofferti, iniziati all’autentico desiderio di conoscere, che necessita di un magistero che francamente con il guazzabuglio indegno di questa nostra scuola poco ha a che fare! E che finalmente potranno incontrare bambini e ragazzi ancora vivi, nel fiore dei loro anni, pronti a non derubarli del loro diritto ad essere e desiderare e fare e esprimere e sperimentare ma che sapranno corrisponderli davvero, senza paura di nulla.
Del resto parliamoci chiaro. Senza eros -l’ultimo segnale di vita nella rampante macchinizzazione totale (e non certo quella delle macchine desideranti!)-, per noi è davvero finita.