Idee inattese e istruzioni necessarie per rovesciare credenze ossificate, ideologie aberranti e poteri inamovibili e ritrovare l'appetito bruciante, sessuato e nervoso di capire, di fare e di pronunciare il violento sì alla vita che le nostre diseducazioni ci hanno intimato di tacere
la gaia educazione

sabato 29 dicembre 2012
La "rivoluzione digitale" a scuola?
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martedì 18 dicembre 2012
venerdì 14 dicembre 2012
Viva la controeducazione (agli adepti di Faunalia e oltre) !
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sabato 10 novembre 2012
Ancora (sì, ancora), sui giovani, la loro speciale sensibilità per l'ingiustizia e le botte
domenica 4 novembre 2012
Bullismo...insegnante (uscito su Alfabeta2 di ottobre 2012)
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domenica 28 ottobre 2012
Tornare a Illich: far fuori la scuola
domenica 14 ottobre 2012
(Ritorni): Ego add-io
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martedì 2 ottobre 2012
Farsi una controeducazione (1)
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sabato 29 settembre 2012
lunedì 24 settembre 2012
Enjoy your lesson (2)
lunedì 17 settembre 2012
Enjoy your lesson! (1)
domenica 9 settembre 2012
Contro il feticismo del lavoro
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venerdì 3 agosto 2012
La scure sui fuori corso (dal Sinistro Profumo)
Il nostro ministro dal nome tanto aggraziato agita di codesti sinistri tempi la scure sopra la stirpe della quale mi sento un orgoglioso rappresentante, color che vanno “fuori corso”. Intendendo per costoro quegli studenti negligenti e sciatti, tardivi ed erranti che arrivano a laurearsi non per tempo ma “nel” tempo.
Al di là del fin troppo ovvio paradosso di una società, di cui il profumante ministro è caricaturale portabandiera, che sottrae posti di lavoro e vuole però buttare nel vuoto sempre più giovani revocandone il lussuoso diritto a impigrirsi all’università (una volta considerata, e non a torto, per ragioni similari, un’ “area di parcheggio”), la faccenda appare fetida e sulfurea. Con malizia marxiana se ne potrebbe dedurre ma è fin troppo ovvio, che si voglia più disperati in circolazione, da cui trarre il duplice profitto di far pressione sugli occupati affinché si concedano ai peggiori ricatti e ai non occupati perché siano disposti a vendersi anche alle condizioni più offensive e mortificanti. Ma questo è fin troppo palese.
Vorrei però concentrarmi sull’odiosità speciale di un tal gesto, di cui, tolta la suddetta, non si vede altra motivazione sensata. Perché infierire sull’eterno studente di cechoviana memoria?
Forse per invidia, l’invidia di chi giustamente vi percepisce il sottile gusto del rinvio, del rallentamento, del persistere in posizione di godimento (diciamo in termini psicoanalitici) mentre tutto congiurerebbe a volerlo al più presto prono e sottomesso allo sfruttamento di qualche invertebrato in zona di potere? Oppure vi è una preoccupazione più “morale”, quella di chi vede nel “fuori corso” l’indolenza del privilegiato, mantenuto dalla famiglia mentre diserta il compito sovrano del contributo al reddito sociale, e dunque esige che anch’egli sia rimesso al giusto cilicio degli altri, i meno provvisti dal destino che, volenti o nolenti, debbono sbrigarsi per trarre d’impiccio sé medesimi e i loro famigliari che sudano sangue per mantenerli colà? Dubito che vi sia tanta caritatevole propensione nei nostri conducatori espertissimi. (E poi, non si dimentichi che molti dei ritardanti, per esser davvero morali, vanno ascritti alla specie infelicissima del lavorator-studente e dunque, a voler essere pietosi, li si dovrebbe semmai incoraggiare e sostenere…)
Dolce fuori corso , svagato e vagabondo, specie di giovine selvatico e ascensionale, preso in derive e in tragitti obliqui, quanto ti amo!
Per te voglio spezzare una lancia, memore di esserlo stato e ancora avvertendo in me lo spirito di quella vocazione d’ enfant gâté che tuttavia ospita il dubbio, l’esitazione, lo stile ellittico verso la decisione.
Alla perfida omelia che prescrive d’esser ratti, lineari e percussivi acciocchè si addivenisca presto all’inculcamento sovrano e ci si arruoli nei destini progressivi della gran macchina di produzione, oppongo, e per motivi diversi, il cammino vago e interrogante del “fuori corso”, puer aeternus dall’indolenza meditativa e sorniona, dall’intelligenza quieta e ricca d’umore.
Allo studente pennellato sulle esigenze dell’istituzione e dei suoi stakeholder interessati, a quello studento diritto, puntuale, insopportabilmente diligente, preferisco di gran lunga l’inoperoso ma pensante, colui che esercita il diritto a fermarsi, financo a provare altre strade, a perdersi in rivoli d’esperienza. Ritardare l’esito significa sondare campi, interporre sentieri inusitati, provare molto e molto abbandonare. Ricordo che nei lunghi anni del mio perdurare in età universitaria ebbi diverse vite, saggiai il teatro, misurai lo sforzo dell’impegno politico, mi ci inabissai ed entusiasmai, fui educatore in luoghi di pura utopia e di rancide periferie, dormii, lessi, pensai, amoreggiai. Età magnifica, dalle mille porte, benché già allora, seppur in tempi men vieti e men cinici, bussava l’orrenda parenesi a farsi repentinamente prodighi del proprio sudore per meglio far girare il grande ingranaggio dell’addomesticazione.
Improdussi invece, ma con quanto personale senso di dolce nutrizione, di denso appagamento e financo di un certo vanaglorioso gusto di renitenza!
Occorrerebbe poi sceverare meglio la questione anche sotto un profilo di efficacia. Cioè a dire se uno studente silurato in fretta dal gangro universitario, che si sia affrettato a ingurgitare sapere e a macinarlo a ranghi serrati, non finisca per sedimentare una conoscenza meccanica e povera, scarsamente ruminata, per dirla alla Nietzsche, se in lui il cammello mai si possa trasmutarsi in leone, o ancora, ma non è possibile neanche il pensarlo, in saggio bambino…
Mi sembra, suffragato in ciò anche da qualche lettura a lungo masticata, che la conoscenza chieda tempo, meditazione, chieda di passare di tanto in tanto a maggese il campo troppo torturato, per metabolizzare meglio, per trasfondersi in sapere tondo, riflettuto, compreso.
Ma è fin troppo chiaro che l’olezzante ministro per nulla è sollecitato da cure di cotal tipo. Per lui, che misura calcolando ogni passo del suo andare ottuso, l’unica ragione è quella dell’efficienza e della rendita algebrica di teste e finanze. Ahimè quanta sorda insipienza in tale logica di gretto ragioniere!
E allora, addivenendo a un primo provvisorio sunto del mio proposito voglio dir ciò: come studente m’onoro d’esser stato un tempo tardo e indeciso, come professore aspiro a veder rinviare la fine degli studi al maggior numero dei miei allievi, anco nel timor, sia detto per inciso, che voglian troppo presto iscriversi alla trista anagrafe dei giovin sposati (spavento!) o, peggio, dei giovani dirigenti!
Post Scriptum per i giovani scrupolosi: non esitate a far saldare ad libitum il conto ai vostri genitori per la responsabilità immane che si son presi di chiamarvi al mondo…
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martedì 24 luglio 2012
Il piacere ignorato: le fasi della luna di Paul Delvaux
I due più vestiti ignorano. Il grado di vestizione determina il grado di distrazione. L’occhiale sollevato del miope, che, sistemato correttamente, potrebbe dargli la vista della profferta di tanta bellezza muliebre, lo induce invece a chinarsi su un oggetto piccolo e inerte, forse esso stesso un occhio, in un circuito di febbre ossessiva e autoriferita. Il secondo uomo, lo sguardo gigantesco e inebetito, che ne sottolinea l’impotenza visiva, sosta attonito, i piedi piatti e larghi a denotarne l’adesione rigida al suolo, alla staticità inamovibile. Sono le figure dell’astronomo e del geologo, polarità irriducibili dell’ attitudine maschile alla distrazione, alla fissità e all’incapacità di godere, già incontrati altrove nella pittura di Delvaux, (nelle Fasi della luna III, in particolare (1942) . Emblemi del rifiuto ostinato e incomprensibile del dono. Dono che si protende infiocchettato, silente e imperturbabile, con un’espressione un poco beffarda, conscio della sua procace seduzione, il piccolo piede malizioso che infrange il limite della balaustra. Dietro la donna un tavolo con il globo terrestre, illuminato da una lampada, effigie forse della vera conoscenza, conoscenza “globale”, che non ha segreti, su cui la luce è sempre accesa, sempre che si riesca a percepirla.
Giorno che incede verso il suo crepuscolo, con la luna che si affaccia sopra la scena, custodendone la cifra simbolica, accogliendola nella sua capace arnia di corrispondenze.
E’ sotto la luna che gli uomini vestiti ignorano la donna che si offre nuda e infiocchettata. Sul fondo della scena un giovane semivestito, figure di limine e di transito, come il pifferaio di Hamelin, conduce una brigata di donne ignude in una sorta di corteo bacchico. Il giovane appare figura del possibile mentre, a contrassegnare l’ignavia imperdonabile dei due uomini in primo piano, accanto a loro, su una cassa di legno rovesciata, giace un oggetto che evoca le fattezze di un teschio, sub specie anamorfica, come negli Ambasciatori di Holbein. Autentico monito, nel centro dell’immagine, sulla caratura letale determinata dall’ignoramento, dalla diserzione dal desiderio dei due uomini.
A questo quadro può essere associato un altro lavoro di Delvaux, il Congresso (1941, ma anche gli Astronomi, 1961), dove questa separazione, tra uomini anziani, dai grandi occhi attoniti, vestiti e paludati, intenti in presunte attività intellettuali e donne nude o incoronate di splendidi cappelli, è albergata in un padiglione che ne rimarca l’impossibile e paradossale convivenza. Qui, sullo sfondo, ci sono degli scheletri che campeggiano nel vano di una porta, non a caso sull’asse del settore maschile. Uno degli uomini, mentre si allontana, sul lato occupato dalle donne, lancia uno sguardo furtivo e ipocrita, verso quella bellezza ancora una volta ignorata e elusa.
E’ un tema ritornante questo, nella pittura dell’artista di Liegi, che incontriamo anche in Ingresso nella città (1940), dove un paesaggio di stile classico, il paesaggio senza tempo che insiste su questa condizione irriducibile, custodisce la parata di bellezze sontuose che incedono come ipnotizzate sulla via, incoronate dalla natura, mentre gli uomini, come al solito, appaiono più distanti e attardati, vestiti, affaccendati, inghiottiti nelle volute di un agire ignaro della seduzione, del desiderio, del possibile. Solo un giovane, ancora una volta, seminudo, sta seduto in primo piano, mentre si accanisce a esplorare una mappa, forse la sua Mappa del Tenero, come insinua Jean Clair, forse in cerca di un passaggio che gli consenta di entrare in contatto con l’alone di mistero che avverte, presentisce, il mistero erotico così esplicito che quei corpi femminili spandono intorno, di cui anch’egli pare però non avvedersi.
E non è forse questa la cifra del nostra stare, ripetuta proprio a beneficio di tutti i ciechi e i sordi che noi stessi siamo, ignari di quel possibile di puro piacere da cui siamo circondati, che è immediatamente alla nostra portata e che pure, a causa dei lacci infiniti in cui ci siamo intrappolati, per la nostra idiozia, ben vestita e inesorabilmente affaccendata, ci resta preclusa?
L’unico ad accedere, nel suo candore disinibito, resta il bambino, letterale ma soprattutto simbolico.
venerdì 20 luglio 2012
Ai venditori di competenza emotiva (repetita iuvant?)
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venerdì 13 luglio 2012
La marcia zoppa del caravanserraglio tecnologico
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