Che cosa è il cellulare? Chi è? Cosa rappresenta?
Guardiamolo, questo piccolo oggetto, così maneggevole, così carezzevole, così sensibile e obbediente.
E’ minuscolo, vitale, responsivo, sta in una tasca di qualsiasi vestito, si illumina, basta sfiorarlo per entrare in contatto con lui e le sue migliaia e migliaia di possibilità.
E’ forse una bacchetta magica, la lampada di Aladino, che risponde allo sfregamento liberando un genio capace di realizzare i nostri desideri? Questo piccolo prodigio della tecnologia umana -o forse si dovrebbe dire dell’alchimia umana, se l’alchimia potesse essere piegata a scopi di soddisfazione pura come forse avrebbe voluto Faust e tanti altri adepti della pietra filosofale poco iniziati -, questo dispositivo non si può negare che possieda un alone magico.
Lo sfreghi, lo diteggi, lo palpi e lui ti dice tutto quello che vuoi sapere, ti indica dove rivolgerti per ogni desiderio e, spesso, riesce a soddisfarlo seduta stante. Vedere un parente lontano, parlargli, avere un libro, subito, in pochi semplici movimenti, leggerlo, annotarlo, avere una ricetta (strano che non te la prepari), individuare un ristorante vicino a te, o un servizio di terme, o di massaggi, o sessuale, reale ma anche virtuale. Ti permette di giocare, di investire in borsa, di diventare più o meno chi vuoi nelle sue infinite simulazioni sempre più simili alla realtà, ti permette di comprare qualunque cosa senza muoverti dalla tua comoda poltrona, di vedere ogni genere di donna o uomo e di potervi accedere, con le infinite applicazioni per gli incontri, gli intrecci, assecondando le manifestazioni più particolari e inconfessabili delle tue manie.
Si potrebbe passare giornate a elencare i suoi meriti, le sue possibilità, le infinite finestre che spalanca sul mondo, senza però ancora obbligarti a entrarvi fisicamente in contatto, sebbene molte delle avventure che cominci attraverso di esso possano costarti caro: il baratro delle spese e delle perdite d’azzardo, la diffamazione, la navigazione in acque sempre più torbide, fino ai bui scantinati della rete, dove puoi incontrare il tuo volto sconosciuto e quello dei tuoi simili più abominevoli.
Il cellulare è tutto in un certo senso. Non riduciamolo alla condizione di pura virtualità. Il cellulare spalanca le porte del reale, te le fa scoprire, è il terminale da cui puoi partire per viaggi e imprese, anche solo conoscitive ma in molti casi molto concrete, sincerandoti prima, sempre che non ti vogliano truffare, che i luoghi che hai traguardato o gli oggetti che hai ammirato attraverso la tua personale finestra, siano veramente molto simili a quelli che davvero desideri.
Il cellulare è piccolo, facilmente occultabile, il suo schermo è sempre più sofisticato, può condurti ovunque, senza fatica, per pochi soldi. E’ alla portata di tutti. E può mostrarti tutti i tipi di soddisfazione. E farteli godere. IL cellulare è la via alla soddisfazione dei desideri, intimo, confortevole, tuo. Tu con il tuo cellulare sei già tutto. Certo devi avere cura non cada nelle mani sbagliate, lì c’è la tua carta d’identità in un certo senso, non le maschere che indossi quotidianamente per fronteggiare il caos del reale, lì ci sei tu, nella nuda esposizione delle tue manie e dei tuoi desideri.
E oggi, in epoca postnichilistica, quando tutte le parodistiche costruzioni di credenze, gerarchie di valori, metafisiche, punizioni e ingiunzioni universali, giudizi finali, sensi di colpa e di peccato sono finalmente dissolti, lì puoi davvero essere come Dio, o quasi. Una buona imitazione.
Nulla ci può separare dal godimento e il cellulare lo rappresenta in tutte le sfumature possibili, allargando enormemente anche la nostra povera fantasia, offrendo sempre di più e spesso, sempre più a buon mercato.
Il cellulare è il dispositivo del godimento, subito, o tra molto poco. Grazie alla geolocalizzazione può permetterti di setacciare il tuo territorio, alla ricerca di tutto ciò che ti possa soddisfare, in incognito, grazie agli pseudonimi, ai nickname, a un po’ di maquillage, oppure più libertinamente senza veli, tu, finalmente quasi onnipotente.
Perché indignarsi? Al contrario, dovremmo rallegrarci! Fine dell’ipocrisia, fine delle mascherate, delle interpretazioni spesso grottesche di ruoli che non vogliamo, che non ci calzano. Finalmente un miglior impiego del tempo, dell’energia. Voglio conoscere qualcuno che venga in bicicletta con me? Scopro un gruppo su fb. Voglio scambiare foto di cadaveri? La selva dei siti satanisti e necrofili è fittissima. Voglio mangiare, guardare, scopare, collezionare video degli anni 70, figurine, fare la lotta con le amazzoni, in quella piccola scatola c’è tutto, perché affaticarsi. E non solo. Cercando si trova. Si trova qualcosa che non era stato pensato, qualcosa che non si era immaginato. E’ avventura, deriva, eccesso, trascendimento.
Forse non sappiamo ancora creare un mondo a immagine di ciascuno di noi, come certa narrazione fantascientifica talora ci fa immaginare ma ci siamo molto vicini.
Si tratta di un’utopia. Parliamoci chiaro. Specie in un reale che, non sappiamo se in conseguenza o come causa, si fa sempre più deserto, invivibile, contaminato, corrotto. Come orientarsi nel deserto del reale, dopo la fine di tutte le dottrine morali, di tutti i catechismi, di tutte le guide per perplessi o meno?
Con il cellulare. Nessuna angoscia metafisica, un filtro puramente funzionale: vuoi giocare d’azzardo, puoi farlo da dove ti trovi o entrare in gruppi, vuoi sparare sentendoti parte di una gang e vivendo avventure impossibili? Perché no? Osa, liberati, spingi, la vita è breve, finita, godi ora perché domani non puoi sapere.
Il cellulare è un buon inveramento del materialismo utopistico del ‘700. Fine delle ideologie, delle fedi, di qualsiasi Dio, l’avvento dell’uomo come orfano di un destino di riscatto e resurrezione ma finalmente padrone di sé, unico responsabile del suo esserci.
Qualcuno ci controlla? Ci vedono? Ci registrano? Sappiamo bene ormai che la macchina del profitto non è interessata a giudicarci quanto ad allestire nuovi scenari di godimento. Più intercetta i miei desideri più mi sarà vicina per farmene trovare di simili, per titillarmi con altre offerte, per allargare lo scenario.
Sarò io a pilotare l’offerta, -non c’è più bisogno di indurre i bisogni!-, sarò io a indurli, andando finalmente a fondo ai miei desideri, anche quelli impresentabili, che conosceremo soltanto io e l’ignoto addetto alla mia soddisfazione, complice tramite cookie, ben venga il cookie! Farò io la tattica della mia vita quotidiana, già so che se sceglierò quel bene, se solo lo cercherò, a poche ore me ne saranno presentati altri mille analoghi, ovunque io digiti, o sfreghi, o clicchi.
Dunque finalmente guardiamolo per quello che è questo oggetto, questo incredibile prodigio, e facciamocene una ragione, chi davvero vorrebbe privarsene? E per che cosa? Per tornare ai vecchi telefoni, per tornare alle ricerche infinite, quando per farsi una bibliografia (per esempio), bisognava fisicamente andare in cento biblioteche e trovare molto meno di quello che si può trovare con pochi tocchi e sfregamenti?
E poi in nome di che cosa? Del reale? Il reale, questo sconosciuto, non foss’altro perché i prospettivismi e ogni banale sociocostruttivismo ci ha finalmente dimostrato che non esiste alcun reale!
Certo, a volte, a stare troppo attaccati agli schermi, può capitare di andare addosso a qualcuno, a un palo, a una macchina, a un bambino che cammina per strada. E’ solo questione di tempo: presto i cellulari avranno i sensori di ostacolo direzionali. Ce li ficcheremo dietro un orecchio, come già stanno sperimentando e fotograferemo il reale con le notizie che ci arriveranno dritte nella memoria. Di ogni persona che incontreremo per strada sapremo vita, morte e miracoli, secondo schede predisposte dall’utente si intende, oppure chissà, grazie a password molto più care, potremo entrare nella memoria dei suoi tracciati e vedere fin dove si è spinta la sua audacia o il suo orrore. Potremo decidere se frequentarlo o meno, se è libero o meno, se è disponibile, secondo un rapido sistema di stimolo-risposta.
Quando penso alla verità e ai suoi fondi, alle sue profondità, mi viene sempre in mente quell’ormai vecchio film di Tarkovskij, Stalker, in cui tre tipi umani vogliono raggiungere il luogo dove si realizzano i desideri. Ma sono uomini di un altro tempo, ancora aggrappati a dei valori, o anche solo alla loro rifondazione. E nessuno avrà il coraggio di entrarci, nel luogo, nella stanza. Anche perché, come dice uno dei tre, lo Scrittore, “non vorrei vedere uscire lo schifo che c’è dentro di me”.
Ma chi ha paura ormai del proprio schifo? E poi schifo agli occhi di chi? Per noi postumani…
Come comportarsi allora con questi straordinari analizzatori della nostra verità, delle nostre pulsioni come dei nostri camuffamenti?
Vogliamo proteggere i bambini? Gli adolescenti? E come fare? Noi lì immersi nel brago digitale e loro a digiuno. Occorrerebbe creare dispositivi per bambini, per i quali si prevedano continui divieti d’accesso almeno nei gironi più infernali della grande beneficenza visuale e interattiva. Ma in cambio di che cosa? Degli scenari appetibili e affascinanti che abbiamo preparato per loro? A cominciare dal deserto della scuola? E dal deserto delle città? E dal deserto di molte famiglie? E del lavoro? Che cosa abbiamo da offrirgli per distoglierli dal gioco più divertente e inesauribile, appena a pochi millimetri dalla possibilità di farne un tracciato vitale in continua espansione? E noi poi? Siamo forse meglio? Chi è meglio lanci la prima pietra!
Se proprio non vogliamo però questo mondo di godimento individuale, un po’ atomizzato certo, un po’ disperato forse, come ogni forma di dipendenza del resto, e questa è una dipendenza dai mille volti, dobbiamo pensare un’alternativa credibile ad esso.
Occorre rifondare un reale degno di essere esperito, vissuto, goduto, collettivamente, se non ci piace l’individualismo, ma per questo c’è parecchio da fare, perché tra cellulare e reale bruto c’è una sorta di corrispondenza inversa. Più si impoverisce l’uno e più si arricchisce l’altro. E di sicuro oggi a impoverirsi non è il mondo infinito e stupefacente dentro ai cellulari, come è di tutta evidenza.
Vogliamo riappropriarci del cosiddetto reale, la concretezza delle cose, quelle in cui inciampiamo o ci incontriamo corpo a corpo? C’è tanto tanto da fare. Vogliamo rinverdire lo stato delle relazioni umane non sottoposte a commercio e protocolli normativi? C’è tanto tanto da fare. Vogliamo più affettività, più piacere, più condivisione, più solidarietà? Forse non c’è davvero più tempo. O forse no.
E’ per questo che siamo prossimi ad un apocalisse. Ad una rivelazione.
Di una siamo già testimoni: quella che ci mostra la verità nuda e cruda del nostro desiderio, finalmente. Oppure.
Oppure sta a noi immaginarne un’altra, di rivelazione, o di catastrofe.